Goffredo Fofi, l’intellettuale resistente che ha raccontato l’Italia che cambia

Un ricordo a partire dal documentario “Pasolini. Cronologia di un delitto politico”, prodotto da Verdiana e con la produzione esecutiva di Solares.

Qualche giorno fa ci ha lasciato Goffredo Fofi. Con lui scompare una delle voci più lucide e controcorrente del panorama culturale italiano. Critico, saggista, militante culturale e sociale, Fofi ha attraversato oltre sessant’anni di storia nazionale con uno sguardo sempre attento e con una profonda avversione per ogni forma di omologazione culturale. La sua morte segna la fine di un’epoca in cui l’impegno intellettuale si intrecciava in modo inscindibile alla vita civile.

Le parole di Goffredo Fofi sul nostro documentario dedicato al delitto Pasolini

Tra i tanti lavori che hanno visto la partecipazione di Goffredo Fofi negli ultimi anni, c’è anche il documentario Pasolini. Cronologia di un delitto politico. Un progetto ambizioso, che affronta la figura e l’eredità di Pier Paolo Pasolini da una prospettiva politica, non soltanto biografica o estetica, concentrandosi sulle ombre connesse al suo assassinio. In questo contesto, Fofi dà voce a un Pasolini profondamente politico e poetico allo stesso tempo, e lo fa con quella chiarezza e onestà intellettuale che lo hanno sempre contraddistinto.

Nel documentario, Goffredo Fofi commenta una sequenza emblematica del film La Ricotta di Pasolini, dove Orson Welles interpreta un regista – un evidente alter ego pasoliniano – che pronuncia parole che sembrano scolpite nel pensiero dell’autore. Welles/Pasolini dice di essere “un uomo di campagna”, cresciuto tra gli Appennini e le Prealpi, e in quella definizione si ritrova tutta la distanza da una civiltà dei consumi che, già negli anni Sessanta, appariva a Pasolini (e a Fofi) come un pericolo reale: un’omologazione culturale capace di distruggere le identità popolari, i legami comunitari, e ogni forma di autonomia critica.

Il pensiero di Goffredo Fofi

Il pensiero di Fofi si è sempre mosso in questa direzione: controcorrente, in difesa di un’Italia minore e spesso invisibile, fatta di periferie, campagne, dialetti, e resistenze silenziose. La sua attività critica – dal cinema alla letteratura, dal teatro alla politica – non è mai stata accademica né neutrale. Fofi ha fondato riviste, collaborato con realtà editoriali indipendenti, e si è impegnato in prima persona in progetti sociali, soprattutto nel Sud Italia. Il suo lavoro era, in fondo, una militanza culturale: fare critica significava scegliere da che parte stare.

Il rapporto con Pier Paolo Pasolini, sebbene non sempre diretto, è stato profondissimo. I due condividevano una visione del mondo inquieta e irriducibile: entrambi ossessionati dal cambiamento antropologico che stava trasformando l’Italia, entrambi convinti che il progresso economico portasse con sé una regressione umana e culturale. Entrambi, soprattutto, parlavano dal margine, e facevano di quel margine il luogo da cui interrogare il centro.

Il ricordo di Fofi

La scomparsa di Fofi lascia un vuoto difficile da colmare. Non solo per ciò che ha scritto, ma per il modo in cui lo ha fatto: con rigore, passione e una sorprendente capacità di ascolto. In un tempo in cui il dibattito culturale si appiattisce troppo spesso in slogan o autocelebrazioni, la sua voce suona come un monito. Ci ricorda che pensare è ancora un atto politico, che l’intellettuale può – e forse deve – restare scomodo, anche a costo dell’isolamento.

Con Goffredo Fofi se ne va un intellettuale raro, uno degli ultimi capaci di tenere insieme pensiero e vita. Ma resta la sua opera, la sua testimonianza, e quel filo rosso che lo unisce a Pasolini e a tutti coloro che hanno cercato, con onestà, di raccontare l’Italia che cambia – senza mai smettere di amarla, anche quando faceva male.

Pubblicato il: 16-07-2025