dall’omonima commedia di Molière rielaborazione drammaturgica Michele Sinisi regia Michele Sinisi scenografia Federico Biancalani assistente alle scene Cecilia Chiaretto disegno luci Michele Sinisi, Federico Biancalani costumi Cloe Tommasin costume del Re Sole Daniela De Blasio con Stefano Braschi, Gianni D’Addario, Sara Drago, Marisa Grimaldo, Donato Paternoster, Bianca Ponzio, Marco Ripoldi, Michele Sinisi,Adele Tirante aiuto regia Nicolò Valandro produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Solares Fondazione delle Arti – Teatro delle Briciole, Teatri di Bari, Tradizione e Turismo – centro di produzione teatrale e Viola produzioni con il contributo di Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna, Comune di Parma
Foto credits Marcella Foccardi
Chi è Tartufo? Un truffatore o un eroe? Un attore o un politico? Un prete o un guaritore? Un sant’uomo, come vuole il padrone di casa, o un impostore, come vuole il resto della famiglia che lo ospita? Un mistificatore o un uomo consapevole delle mistificazioni altrui? Il suo ingresso, all’inizio del terzo atto, fa l’effetto di un’apparizione insolita capace di zittire l’intera casa, arrestare il ritmo della commedia. Lo spazio del palcoscenico sembra ingrandirsi per contenere, insieme alla nostra curiosità, le poche, lente, sillabe dell’ospite che non abbiamo mai visto ma che è stato preceduto dalle tante parole dette su di lui.
Chi è Tartufo? Forse l’essenza stessa, ultima e malata, del male. Personaggio nato come satira della borghesia secentesca francese, Tartufo è diventato un simbolo, il truffatore per antonomasia capace di attraversare ogni epoca, rimanendo sempre incredibilmente attuale. Michele Sinisi si confronta ancora una volta con un classico, muovendosi all’interno di una commedia che, dietro le sfumature farsesche, cela sotto pelle un lato oscuro, dato dall’ambiguità di un protagonista sinistro, misterioso. La parola di Molière viene qui rimasticata, attualizzata e contaminata acquisendo così una freschezza dal sapore contemporaneo, un ritmo serrato che conduce lo spettatore dritto verso un finale dove il rex ex maquina toglierà dagli impicci l’intera famiglia garantendo un, seppur amaro, lieto fine.
Note di regia
Tartufo potrebbe essere chiunque. Anche io, anche noi teatranti quando parliamo al di fuori del nostro lavoro, quel che c’è deve stare solo in scena. Quando perdiamo di vista la complessità della vita e ci rifugiamo nella menzogna e nelle illusioni. Tartufo rappresenta tutti coloro che affascinano con la dialettica chi non ha gli strumenti per capire che cosa si nasconde dietro l’ambiguità delle parole.
Il testo, vivisezionato e rimontato, è rispettato fino allo smascheramento del protagonista alla fine del quarto atto, ma nel quinto atto, scritto da Molière per rendere omaggio alla magnificenza reale che tutto risolve arrestando l’impostore, c’è una sorta di esplosione della grandezza del potere, verso cui sospendo il giudizio. Quello che ho cercato di fare è trovare un baricentro tra le istanze di Orgone, padrone di casa totalmente abbagliato dalla finta rettitudine morale di Tartufo, e il desiderio di cambiamento degli altri personaggi, ben consapevoli di trovarsi davanti un approfittatore: l’alternanza di vecchio e nuovo c’è sempre stata e ci sarà sempre, con tutti i fantasmi e le paure che si porta dietro.
Cerco di restituire questa ambivalenza e l’impossibilità di risolverla. La scena di Federico Biancalani è costruita come un ring a luce fissa perché il pubblico guardi questa famiglia in cui il bubbone della frustrazione è arrivato a livelli insostenibili. Un muro fisso sul fondo, con davanti un tappeto che ne riflette la matericità, si muove fino al proscenio per schiacciare davanti agli occhi degli spettatori quella situazione pruriginosa che sancirà la fine di Tartufo, per poi aprirsi alle spalle di Orgone con la luminosità dorata della reggia di Versailles e del re che risolverà la questione.
Pubblicato il: 29-09-2025
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